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Perché non siamo arrivati a Torino - di WM2 e WM3

ovvero: quel pomeriggio di un giorno da bestiame
[L'11 maggio scorso, alle ore 19, WM2 e WM3 erano attesi alla Fiera del Libro di Torino. Insieme a Max Casacci e Ninja dei Subsonica, dovevano presentare il progetto “Manituana: A Soundtrack”. Incontro coordinato dal giornalista Luca Castelli. A quell'appuntamento non sono mai arrivati, perché li ha ghermiti la belva FS, celebre mostro a due teste (RFI e Trenitalia), trascinandoli in un labirinto di ritardi, disdette, pretesti e proteste da cui sono potuti uscire soltanto tornando a casa. Quel pomeriggio Torino era irraggiungibile, vive la mobilité. Ci teniamo a far sapere che non siamo stati noi a “tirare il pacco”, affinché non nascano e si diffondano leggende urbane. Otto anni fa la nostra presenza-assenza fu una performance intenzionale. Stavolta no. Ecco la testimonianza dei due sventurati viandanti.]

CLISTERE DI CALMANTE E METRI CUBI DI GHIACCIO

Ciao Simonetta,
scusa se ti scrivo soltanto ora dopo che a Torino non ci siamo mai arrivati e non mi ero segnato nessun cellulare einaudiano per avvisarvi (a parte quello di Paolo Rep, che non rispondeva).
La triste vicenda comincia con il Neurostar Bo-Mi delle 13.08, in ritardo di 70 minuti, abbastanza per farci perdere la coincidenza che ci avrebbe portati a destinazione per le 17. Tempo di toccare terra e veniamo avvisati che il treno successivo ha 30 minuti di ritardo, anzi no, è soppresso, però chi va a Torino può prendere il TGV in partenza per Parigi, senza pagare supplemento. Ci precipitiamo al terzo binario, dalla parte opposta della stazione, e ci stipiamo in questa latta di arti e valigie, grazie all'azione lubrificante del sudore. Il tempo di immaginare quel che diventeremo dopo un'ora e mezza di viaggio, quando una mareggiata improvvisa ci risucchia fuori, dove il macchinista inveisce contro una dozzina di pendolari che ha occupato i binari, per chiedere che il TGV effettui le fermate intermedie di Rho, Vercelli, Novara, prima di giungere a Torino Porta Susa. Sul tabellone, il TGV della salvezza si becca subito 50 minuti di ritardo, così, sulla fiducia. Nel frattempo, la linea Milano-Torino diventa peggio del Triangolo delle Bermude e l'Intercity della disperazione - arrivo previsto ore 18.50 - ha già 20 minuti di ritardo. Bene che vada, senza ulteriori complicanze, arriveremmo a Torino Porta Susa alle 19.10, frollati, e forse in taxi al Lingotto una mezz'ora dopo, liquefatti, negli ultimi venti minuti utili previsti per il nostro intervento.
Facciamo l'ultima di molte telefonate a Chiara di Casasonica e la avvisiamo della nostra decisione: si torna a casa, unico approdo possibile dopo un pomeriggio del genere. Lei si offre di pagarci un taxi - ma tra uscire da Milano in piena ora di punta, immettersi nel tapis roulant dell'autostrada e penetrare a Torino, c'è il rischio di arrivare invecchiati.
Così aspettiamo il primo treno possibile per Bologna - l'interregionale delle 18.20 - ripetendoci che peggio di così potrebbe capitarci soltanto una cosa: la partecipazione forzata al Family Day del giorno seguente.
Invece no. Il destino imperscrutabile mi fa arrivare a casa in tempo utile per mettere a letto mia figlia, sentirla chiamare nel cuore della notte, alzarmi, scoprire che bolle di febbre, darle la medicina, vederla tremare fino alle convulsioni. Cosa che le è già successa un paio di volte e quindi ci trova pronti, col clistere di calmante e metri cubi di ghiaccio. Pronti, certo, anche se agli spasmi muscolari e agli occhi rovesciati all'indietro non si fa mai l'abitudine. Non fossi tornato a casa, mia moglie ci si sarebbe trovata da sola e il piccolo Davide di sicuro si sarebbe svegliato sul più bello.
Ringrazio Trenitalia per la preferenza accordatami.
Abbracci,
Giovanni


***

AD IMPOSSIBILIA

E' andata proprio così.
Un Paese fermo sui binari, ad attendere un riscatto che non può arrivare. Impegni, appuntamenti, affari. Incontri, funerali, visite mediche. Cartellini da timbrare, coincidenze da prendere, persone da rispettare. Tutto salta, sfuma, si pianta. Tutti i giorni. Una metafora. Molto concreta.
E penso a Claudia, due giorni fa, lunedì, appuntamento importante di lavoro a Roma: si rompe la motrice a Pianoro, pochi chilometri fuori Bologna. Dopo due ore ne arriva un'altra, che si rompe a sua volta. Dopo quattro è di nuovo alla stazione di Bologna, torna a casa in lacrime.
Penso a Marco, avvocato, poche settimane fa, uguale identico, salta l'udienza in tribunale a Firenze.
Penso ai pacchi di rimborsi accumulati in anni di presentazioni, molti inesigibili, da riempirci un materasso.
Penso che in Spagna 25 anni fa c'avevano lo "scartamento ridotto" e i treni sembravano quelli di Tucson, Arizona 1870.
Oggi, sull'equivalente dell'Eurostar, con cinque (5) minuti di ritardo rimborsano l'intero biglietto.
Penso ai macchinisti licenziati per aver ospitato a bordo i giornalisti di Report che curavano un'inchiesta.
Penso ai giornalisti di Report, il mio amico Bernardo e gli altri, martellati di cause e richieste di danni e risarcimenti per diffamazione.
Penso che Trenitalia, solo alla Gabanelli, chiede un risarcimento per oltre cento milioni (100.000.000) di euro.
Penso a 'ste robe qua. Fermo sui binari.

16.05.07 · in novità

Perché non siamo arrivati a Torino - di WM2 e WM3